Su ordine di custodia cautelare emesso dal Gip del Tribunale di Bari, su richiesta della Procura del capoluogo pugliese, i carabinieri della Compagnia di Monopoli hanno arrestato due pregiudicati e un carabiniere in pensione di Monopoli e un pregiudicato di Bari. Inoltre altri due pregiudicati di Cellamare e Monopoli sono stati sottoposti a obbligo di dimora nei propri Comuni di residenza. Infine, altre otto persone sono indagate. I reati, a vario titolo, contestati sono usura ed estorsione.
GLI ARRESTATI: Antonio De Benedictis, disoccupato di 63 anni, pregiudicato di Bari, accusato di usura ed estorsione; Vito Danese, carabiniere in pensione di 63 anni, di Monopoli, accusato di usura ed estorsione; Francesco Notarangelo, rappresentante di prodotti alimentari tipici di 47 anni, pregiudicato di Monopoli, accusato di usura; Giovanni Paolo Loperfido, macellaio di 44 anni, pregiudicato di Monopoli, accusato di usura ed estorsione. SOTTOPOSTI A OBBLIGO DI DIMORA: Domenico Pagone, agricoltore di 55 anni, pregiudicato di Cellamare, accusato di usura; Giacomo Raimondi, cuoco di 57 anni, pregiudicato di Monopoli, accusato di usura.
IL FATTO: A Monopoli e Cellamare erano persone conosciute per le loro professioni, per così dire, “normali”: carabiniere in pensione, rappresentante di olio d’oliva e prodotti tipici, macellaio, cuoco, agricoltore, ma in alcuni ambienti i loro nomi erano alternativi a quelli delle banche: erano, appunto, in grado di prestare denaro quando l’accesso al credito era impedito per delle difficoltà economiche delle vittime. Apparivano benefattori, ma poi si rivelavano degli aguzzini – che non solo minacciavano di morte gli usurati che non riuscivano ad ottemperare alle rate mensili che prevedevano la restituzione dei soli interessi da pagare sul capitale prestato ad usura – ma che arrivavano a picchiare selvaggiamente coloro che dopo le minacce continuavano a non pagare. Per rendere, poi, più credibili le loro richieste di pagamento e di estorsione minacciavano l’intervento di un certo “Tonino”, pregiudicato barese, Antonio De Benedictis, dipingendolo alle proprie vittime come un pericoloso delinquente senza scrupoli. Un metodo consolidato che aveva già portato ad avere problemi simili con la giustizia per molti di loro. Condanne, arresti domiciliari, obblighi di dimora che non avevano, però, fatto desistere la banda di usurai che da anni si arricchivano alle spalle di imprenditori e commercianti in gravi difficoltà economiche. Ampio il giro degli usurati: Monopoli, Locorotondo, Capurso e anche Bari. A mettere la parola fine alla loro attività di usurai il coraggio di alcuni imprenditori e commercianti che nella primavera del 2007 si sono rivolti ai carabinieri per denunciare i loro aguzzini. Il primo a farlo è un negoziante di Monopoli che il 9 maggio del 2007 si presenta in Caserma e racconta che da tre anni era in mano a gente senza scrupolo che a fronte di un iniziale prestito di 5mila euro (complessivamente era poi arrivato a farsi prestare oltre 40mila euro) era arrivato a pagare tassi mensili del 10%, pari al 120% annuo. Dove gli interessi erano trattenuti prima di concedere la somma. Un vero e proprio calvario che lo aveva portato a chiedere prestiti a parenti, amici, ma anche a quattro parroci di Monopoli (i prelati hanno dato all’usurato per aiutarlo oltre 20mila euro) per far fronte alle pressanti e minacciose richieste di Francesco Notarangelo, l’uomo al quale nel 2004 si era rivolto per l’iniziale prestito. Nel 2006, poi, sulla scena compare Vito Danese che inizialmente appare come una sorta di “salvatore” – l’uomo si diceva disponibile a prestare soldi senza volere interessi in cambio – ma poi si rivelava un altro aguzzino. Era, infatti, Vito Danese che passava mensilmente a riscuotere gli interessi per conto di Francesco Notarangelo e Antonio De Benedictis. Così, sul finire del 2006 il commerciante non riuscendo a far fronte al prestito usuraio ricevuto fino a quel momento decise di rivolgersi a Giovanni Paolo Loperfido dal quale otteneva altri 21mila euro. Ma le nuove rate contratte con il macellaio monopolitano avevano finito per aggravare maggiormente la situazione economica del commerciante che alle minacce che già riceveva da Notarangelo e Danisi – che, ricordiamo, lo impaurivano minacciando l’intervento del pregiudicato barese, De Benedictis – aveva aggiunto quelle del Loperfido che, a sua volta, per intimorirlo tirava in ballo l’agricoltore di Cellamare, Domenico Pagone, conosciuto nell’ambiente come “il boia”. A quel punto il commerciante era dentro una spirale perversa e pericolosa – indebitato con gli usurari, parenti, amici e preti – dalla quale rischiava di non uscire più vivo. Ed è stata, paradossalmente, proprio la “paura” che ha dato all’uomo il “coraggio” di denunciare i suoi aguzzini diventando così un esempio per altri cinque commercianti e due famiglie in difficoltà. Alcuni di loro negli anni erano stati costretti a vendere le proprie attività o i propri appartamenti per far fronte ai debiti che aumentavano a dismisura a causa degli interessi altissimi, in alcuni casi del 200%. Le loro denunce hanno fatto venire a galla responsabilità di altri “normali cittadini” pronti a prestare soldi ad usura: è il caso del cuoco Giacomo Raimondi che avrebbe prestato soldi anche a un circolo privato di Monopoli in difficoltà.
IL PRECEDENTE: Solo il 25 ottobre scorso, sempre i carabinieri della Compagnia di Monopoli, coordinati dalla Procura di Bari, avevano sgominato un’altra banda di usurai di Monopoli che prestavano soldi a commercianti monopolitani a tassi superiori al 140%. In quel caso a capo della banda c’era un pescatore sessantenne.
LE DICHIARAZIONI DEL PROCURATORE DI BARI, ANTONIO LAUDATI: Anche questa volta a Monopoli una banda di estorsori ed usurai, alcuni camuffati da “persone perbene”, è stata assicurata alla giustizia grazie al coraggio di alcuni commercianti che hanno saputo ribellarsi ai propri aguzzini nonostante fossero non solo minacciati di morte, ma picchiati in più di un’occasione. Una scelta coraggiosa quella del primo commerciante che, in questa inchiesta, è stato di esempio per gli altri colleghi nelle stesse difficoltà economiche. Persone che hanno scelto di non abbassare più la testa, di non vivere più nel terrore e nell’angoscia, ma soprattutto nella illegalità. Ancora una volta questa vicenda dimostra come nei casi di usura ed estorsione il non essere soli, il non sentirsi soli, può davvero costituire una svolta verso la legalità. L’invito a commercianti e imprenditori è quello di rivolgersi alle Forze dell’Ordine per denunciare i propri aguzzini, ma soprattutto a dar vita nei propri territori ad Associazioni anti-racket ed anti-usura che diventino delle vere “sentinelle di legalità” .
Giuseppe Buono