Riceviamo e pubblichiamo, integralmente qui di seguito, comunicato stampa giunto in redazione.
A Parigi quattro importanti biblioteche hanno rinunciato al Wi-Fi. In Germania il Ministro della salute mette in guardia i cittadini da un uso smodato del Wi-Fi. Sempre in Germania la BMW di Monaco riduce il Wi-Fi. In Gran Bretagna si vanno creando ovunque comitati cittadini contro l’uso indiscriminato del Wi-Fi. Nel Galles, diverse scuole hanno già bandito l’uso del Wi-Fi. In Canada 52 scienziati indipendenti di 18 nazioni diverse chiedono al governo di ridurre il livello delle emissioni. A Taiwan il Governo ordina di smontare 1500 antenne di telefonia mobile. In Belgio il consigliere per l’educazione e l’infanzia della città di Ghent, ha messo al bando il Wi-Fi nelle scuole primarie.
In Italia il sindaco della città di Udine lancia il “cell free” (non uso del Wi-Fi) nei negozi della città. In Italia, Alto Adige, almeno quattro scuole hanno eliminato le connessioni al Wi-Fi. In Italia, l’assessore alla pubblica istruzione di Civitanova Marche, su richiesta del comitato dei genitori, stacca il cavo Wi-Fi in una scuola primaria per far spazio alla connessione via cavo. Questi sono solo alcuni dei tantissimi titoli di giornali o notiziari online che quotidianamente, da anni ormai, ci informano su quanto sia viva l’attenzione verso il non proliferare del Wi-Fi o del suo uso esagerato o superfluo. A Capurso invece, sul numero 19 di “Comunicare”, (la rivista ufficiale dell’Amministrazione Comunale di agosto 2014) leggo testualmente: “…in biblioteca sono state installate nuove antenne per il Wi-Fi che coprono sia l’intero edificio che l’esterno. Il segnale può essere recepito in gran parte dei giardini comunali di piazza Matteotti e sul sagrato della Basilica. È un primo passo per rendere sempre più tecnologica la D’Addosio, etc…“. Allora mi chiedo: perché il nostro Comune da un lato sta tentando il trasferimento delle antenne poste sul tetto del Municipio; nei mesi precedenti inoltre ha bloccato un’antenna wi-max in via Epifania, riconoscendone la pericolosità, dall’altro agisce diversamente, implementando e incentivando l’uso del Wi-Fi libero in altre zone del territorio? Prima all’interno del parco urbano, poi nelle scuole e adesso dentro e fuori la biblioteca? Ciò è assolutamente incoerente! Possibile che mentre ovunque nel mondo si stanno operando scelte che tengono conto della frequente inutilità (e della potenziale pericolosità) del free Wi-Fi, affrontando quindi di petto il problema, i nostri Amministratori agiscano in modalità opposta? Per dimostrare quale senso di pseudo modernità? Per quali incomprensibili scelte innovative? Possibile che non si voglia ammettere che oggi la vera sicurezza e la vera modernità stanno nelle azioni lungimiranti che, dove applicabili, esprimano il coraggio di rifiutare il superfluo e il potenziale pericolo, anche se son frutto dell’ultimissimo progresso? Perché prima di tali scelte (ma, se possibile, almeno dopo), non ci si preoccupa di fornire una educazione appropriata prodotta con informazioni provenienti da fonti attendibili e ufficiali (OMS, Ministero della Sanità, CNR, etc.)? Perché non si vuole sviluppare un senso di autodifesa tramite l’informazione? Possibile che il cittadino venga lasciato solo con la sua disinformazione e che a questo compito debbano adempiere solo volontari, come questo Comitato, che spesso ed erroneamente vengono visti come un ostacolo, con diffidenza? Il famoso principio di precauzione dovrebbe valere per tutti, pubblico e privato e l’utilizzo della tecnologia (in senso lato ma specialmente quella riguardante il wireless e tutto quanto produca campi elettromagnetici) dovrebbe essere preso in considerazione molto più spesso. I proprietari di telefonini e quant’altro, quindi, si assumano le proprie responsabilità e chi vuole “navigare” si paghi le connessioni a proprie spese. Non deve essere certo la pubblica amministrazione a stimolare questi bisogni con l’offerta del libero collegamento. Chi non ha tali necessità ed è contrario a questa “nuova filosofia di vita” non può passivamente subire l’inondazione di maree di “radiazioni”. Esistono troppe antenne, di operatori diversi e ovunque disseminate, che già lo fanno e verso le cui emissioni siamo quasi impotenti. D’altra parte i gestori di telefonia mobile e servizi annessi offrono tariffe talmente convenienti che oggi qualunque smartphone o tablet può collegarsi alla rete a prezzi irrisori. Quindi il Comune non solo va a coprire in modo superfluo costi di per sé assolutamente insignificanti ma in più contribuisce ad arrecare danno alla salute di coloro che, ignari, non sanno come difendersi. L’esperienza del parco urbano insegna: quanti di coloro che posseggono un telefono o similare si recano al parco per usufruire della rete libera ivi presente? Personalmente, non mi capita quasi mai di avvistare utenti che la utilizzino! A parte queste considerazioni di carattere quasi tecnico non possiamo trascurare l’aspetto sociale del fenomeno. Non possiamo negare che ormai, in qualunque posto siamo, (per strada, al cinema, allo stadio, a teatro, etc.) assistiamo inermi ad uno spettacolo che definirlo deprimente è poco: ragazzi (solitari o in gruppo, ma sempre solitari), anziani, donne, bambini che curiosano a testa china sul proprio schermo, isolati da tutto il resto (anche da chi gli sta’ vicino), aggrappati a questo nuovo idolo della sicurezza, senza il quale, ahimè si sentono soli! Lo smartphone ha preso il posto della coperta di Linus…Ne parliamo tutti i giorni, conveniamo che il fenomeno è allarmante ma non facciamo nulla per ridurlo e lo accettiamo perché rappresenta la modernità, la digitalizzazione informatica. Sbagliamo perché lo sviluppo della digitalizzazione non è questo. Quanti sanno utilizzare un foglio elettronico, uno slideshow, un documento multimediale, una conversione tra vari formati, quanti sanno cos’è un codec, e così via. Perché non ammettiamo che la quasi totalità degli utilizzatori adopera questi apparecchi solo per comunicare tramite gli ormai classici “social network” (facebook, twitter, etc.), nei quali ci si vanta di avere migliaia di “amicizie” e magari non conoscendo altri nella vita reale. Non c’è niente di male in tutto questo, ma se solo si conoscessero le loro vere potenzialità il loro uso diverrebbe più profittevole e costruttivo per la mente, per lo spirito e perché no, anche per le tasche. I produttori e i governi calcolano lo sviluppo digitale in base al numero delle apparecchiature vendute, adeguando di conseguenza le reti per il collegamento, ma non si preoccupano di verificare quanto uso razionale e profittevole venga fatto di esse. Ciò spetta a noi. Alla nostra intelligenza. Come quando ad una Comunità si offre una infinità di eventi culturali (cinema, teatro, musica e quant’altro) senza preoccuparsi di verificare il livello di crescita che ciò ha prodotto nel cittadino in modo da modificare, successivamente, la qualità e la quantità di quanto “somministrato”. La cosiddetta “verifica della cultura”. Lo sviluppo informatico quindi deve proseguire, la digitalizzazione non si può e non si deve fermare ma tutto deve evolversi in modo controllato, tenendo conto del massimo della sicurezza, (almeno in ambiente pubblico). Il sistema di reti (network) all’interno di strutture chiuse come scuole, uffici, etc. deve essere preferibilmente con cavo fisso (ethernet) e l’uso del Wi-Fi deve essere limitato. Anche in presenza di segnale minimo si dovrà tener conto sia di coloro che non lo desiderano per principio (come chi non condivide il fumo di sigaretta, per esempio), che della categoria degli elettrosensibili, i quali accusano malesseri vari quando sono in presenza di campi elettromagnetici (deboli o forti e di varia natura). Il gap digitale che ci separa dai Paesi più informatizzati quindi, si compensa anche con la verifica che quanto venduto in hardware abbia contribuito alla conoscenza reale dei software, delle applicazioni intelligenti e delle relative implicazioni sociali. Altrimenti ci ritroviamo con una infinità di “scatole intelligenti” di cui sfruttiamo solo una minima parte di quello che offrono. Relativamente alla sicurezza, le Istituzioni dovrebbero garantirne il monitoraggio, per diritto, però a livello individuale, ognuno dovrebbe aggiornare costantemente le proprie conoscenze in merito perché questo è l’unico modo per proteggersi. Una ciminiera che emette continuamente fumi pieni di sostanze nocive ci preoccupa, perché la vediamo; i campi elettromagnetici non ci fanno paura, perché sono invisibili! Quindi: occhio e impegno! C’è una forza motrice più forte del vapore, dell’elettricità e dell’energia atomica: la volontà (Albert Einstein).
(fonte: Mario Boezio – Comitato NEAC No Elettrosmog A Capurso)
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